Il volto vero del Madagascar

 

Il volto vero del Madagascar

 Di Gisella Anselmi

 

Gennaio 2007

 Se pensavo al Madagascar turistico, prima di venirci, avevo in mente le bellissime immagini dei documentari: fiori, lemuri, camaleonti, coccodrilli, tartarughe giganti, gli zebù, i parchi naturali, il cielo azzurro terso, la terra rossa, il mare, le spiagge del nord e i fondali bellissimi. Pensavo alla vaniglia, ai baobab, alla frutta esotica, alle pietre preziose, i coralli, gli oggetti in corno di zebù e in rafia, i vestiti delle donne malgasce dai colori sgargianti: insomma ricchezza e paesaggi pittoreschi…

Ma non sono a gennaio qui a Tanà, diminutivo di Antananarivo, la capitale del Madagascar, in visita turistica, sebbene gli occhi vengano catturati da una mescolanza di varietà e di colori che attraggono al sole. Il fiume bagna la città; in alcuni punti si allarga in piccoli laghetti e in altri si restringe in lunghi canali creando delle belle oasi di verde. Il fiume e le costruzioni ormai fatiscenti ai lati delle lunghissime vie, un tempo fasto dei coloni francesi la fanno sembrare a tratti una Danimarca del sud. C’è un retrogusto di europeo qui che si mischia col grande fascino africano.

Che allegria questo viavai di persone per le strade in terra battuta!  Le numerosissime vecchie Diane beige, un po’ scassate che sono i tassì; gli autobus rossi stracolmi di passeggeri, che sembrano giocattoli di latta, dove si entra e si scende da dietro con un salto, dopo aver scavalcato la gente, con i sedili a misura di bambino e le tavole di legno da appoggiare da un sedile all’altro, per lo strapuntino; un odore acre dentro gli autobus e nelle strade che non conoscevo, che è l’odore del Madagascar, da allora diventato parte di me insieme agli altri miei odori. I telefoni pubblici ogni dieci metri, appoggiati su un tavolinetto lungo le strade, con l’omino o il ragazzino che ti conta gli scatti; le bancarelle fitte fitte sotto il sole, vendono carne esposta sul bancone di legno o attaccata ai chiodi, piena di mosche; il pane, i dolci, e le frittelle di non so cosa, rosolate nell’olio di arachidi, nero nero che frigge da giorni dentro a un grande calderone; banchi con tante varietà di ortaggi; il banchetto dei medicinali insieme alle erbe curative, agli oli e ai decotti di stregoni. Ci sono anche le bancarelle poverissime, che vendono solo quattro pomodori, o sei uova o dieci patate, e tanti bambini e bambine coi moccoli al naso e i capelli neri scoloriti di rosso, per la grave insufficienza di ferro. Tutto avviene sulla strada qui a Tanà. Quanta vita in questo frastuono! In questa mescolanza di varietà etniche di cui è composto il popolo malgascio, su cui i miei sensi si soffermano solo per un attimo, distratti subito da altre caratteristiche!

A Tanà, non sono solo le piazze e le vie i luoghi in cui si svolge la vita, bensì sono le sponde del fiume Ikopa, con le sue acque rosse di terra rossa dal ferro. Sono così popolate e affollate le sponde del fiume Ikopa!!! un fiorire di vita… di donne che si lavano e che lavano i panni che mettono ad asciugare sui prati; sono un’allegria tutti questi panni colorati che riempiono i prati! I bambini fanno il bagno al fiume, gli animali si abbeverano, gli operai sciacquano i mattoni di fango cotto: persone-animali-natura, tutti insieme.

E’ un’armonia che mi fa subito assaporare i ritmi naturali e lenti dell’Africa. Ma basta che io posi lo sguardo sulle acque fangose, sulle baracche sbilenche e malsane del fiume, in cui vivono tantissime persone, che sento la prima stretta al cuore… ed è solo l’inizio. Gli occhi non vorrebbero vedere il volto vero del Madagascar.

Faccio parte di un gruppo di volontari del granello di senape e proveniamo da diverse città italiane. Siamo qui a Tanà, insieme a Giuliano, il fondatore dell’associazione, per conoscere il popolo e i progetti dell’associazione, per coinvolgerci dal vivo e non solo attraverso i racconti di chi ci è stato. I campi di lavoro veri e propri si svolgono in estate e alcuni di noi ritorneranno per lavorare insieme alle famiglie malgasce. Sono passati appena due giorni dal mio arrivo, ma sembrano molti di più. L’impatto e’ stato duro, abituata alle comodità occidentali: la mia casa grande e piena di comfort, l’acqua calda e l’acqua potabile a volontà dal rubinetto, anche solo per lavarmi. Non ci avevo mai riflettuto… ora a pensarci bene mi sembra uno spreco…. La mia abitudine di consumare più di ciò che mi occorre, confortata dalle carte di credito che mi danno l’illusione momentanea di essere ricca. Gratificata da tanti oggetti che ho acquistato perché mi piacevano; gli armadi pieni di vestiti, molti dei quali neanche li metto perché non mi piacciono più, acquistati in preda al desiderio irrazionale di apparire bella; il superfluo che in casa spesso mi innervosisce perché crea polvere e disordine e occupa spazio e il mio tempo. Tutto ciò è una trappola, ora ne sono convinta, un vizio indotto dal consumismo che mi lega a un tenore di vita che per mantenerlo devo lavorare anche quando vorrei riposare ed essere libera.

Eccomi qua al caldo, dal quale non posso proteggermi con l’aria condizionata, le zanzare della malaria da allontanare, le pulci dentro il letto scomodo, la condivisione degli spazi, compreso un unico bagno, con gli altri dieci volontari nella casa dell’associazione.

Giuliano ci invita ogni giorno a fare esperienza di condivisione della povertà dei malgasci, visitando le loro case, partecipando alla loro quotidianità, acquistando il cibo nelle bancarelle e non nei supermercati, condividendo i loro semplici pasti. Dice che i poveri sono i nostri maestri di vita perchè solo loro sperimentano la privazione e quindi l’essenzialità della vita. Sono venti anni che in Africa Giuliano presta la sua opera e in questi anni ha creato una grande rete di solidarietà che dà sostegno al Congo, alla Costa d’Avorio, al Rwanda, oltre che al Madagascar. Per tutti noi invece è la prima volta.

Oggi siamo ad Ilanivato, quartiere alla periferia della capitale. E’ tra questi quartieri dove ci sono i poveri più poveri che opera il granello di senape. Baracche di pochi metri quadrati. Vivono sei, otto persone in un’unica stanzetta dove c’è solamente un letto per tutta la famiglia, il fuoco per cucinare e nient’altro. E sotto il letto una cassa col maiale… è la sua stalla.

Baracche con tetti improntati alla meglio, dove ci piove dentro, nella stagione delle piogge ogni giorno l’acqua inonda le strade e isola i villaggi dalla città. Il fango, lo sterco, l’immondizia formano una melma fuori dalle baracche. Loro vivono qui tutta la giornata, i bambini giocano felici a piedi scalzi e poi si lavano al fiume. La maggior parte di loro non va a scuola – il 60% della popolazione è infatti analfabeta.

Qualcuno sta lavorando seduto sugli stracci sopra il fango, alza la testa per salutarci: – manaona!!! – che vuol dire buon giorno, e riabbassa la testa. Ripara i sacchi già usati per poi rivenderli; donne e uomini ricamano delle bellissime tovaglie e tende. Una donna sta preparando nel cortile una povera zuppa di manioca e riso per tutti, in una grande ciotola dove beccano anche le oche. E’ il menu di ogni giorno, l’unico pasto della giornata. Le donne mentre lavorano allattano i figli, e i più piccoli reclamano in continuazione il seno scarno della mamma.

Madagascar 1

La mancanza di acqua, di luce, di servizi igienici crea delle condizioni di emergenza e di estremo pericolo per la salute. L’acqua depurata è lontana dai villaggi, viene venduta dai privati nelle poche fontane pubbliche e costa 100 ariari al secchio, cinque centesimi, mentre la paga giornaliera è di 50 centesimi al massimo 1 euro e naturalmente la maggior parte della popolazione fa uso dell’acqua del fiume Ikopa. Le malattie che derivano dalla mancanza di potabilità dell’acqua e dalla mancanza di igiene sono tra le principali cause di morte in Madagascar, dove l’età media di vita della popolazione è intorno ai 40 anni.

Oggi e’ la giornata in cui l’équipe fa visita a queste povere famiglie. Nirina è malgascia. E’ la dottoressa che presta servizio nella nostra associazione, Rivu è il suo collaboratore, Andrea è il cooperante internazionale italiano che resterà a Tanà ancora per 1 anno, dopo di lui verranno altri volontari. La dottoressa Nirina visita gli ammalati, somministra i medicinali ed ordina il ricovero all’ospedale quando ce ne è bisogno. L’associazione si fa carico di sostenere le spese per il ricovero e per le cure perché lo Stato assicura l’assistenza sanitaria solo a chi paga e quindi ai ceti più abbienti, la minoranza della popolazione.

Abbiamo fatto visita a una famiglia di 10 persone. La figlia di 18 anni era distesa sul letto, pallidissima e semicosciente La madre le scacciava le mosche dal viso. Ha partorito una settimana fa e continua a perdere sangue. Nirina dice che ha un’infezione post partum e che ha bisogno subito di cure in ospedale. Se non ci fosse stata l’associazione sarebbe restata lì ad aspettare di morire perché la famiglia non può pagare i medicinali e la degenza ospedaliera. In un’altra baracca ci sono due malati gravi di tubercolosi, in un’altra tre con la malaria; in un’altra baracca abbiamo trovato un bambino che sta malissimo, consumato dalla febbre alta da giorni e del dolore forte alle orecchie. E’ una semplice otite, ma se non prende presto gli antibiotici morirà, come accade spesso a molti altri bambini.

Sono circa 20 i volontari malgasci dell’associazione che operano a Tanà. Nelle visite a domicilio danno consigli alle famiglie sull’igiene personale e della casa, spiegano quali malattie possono contrarre vivendo con gli animali, informano i genitori quando vaccinare i figli e li convincono a costruire le stalle lontano dalle abitazioni.

Questo lavoro sta portando dei risultati. Nei quartieri di Ilanivàto e di Anduatanjona le donne hanno più cura della loro pur misera casa. Gli uomini aggiustano i tetti, costruiscono le staccionate per i polli e le oche, hanno imparato ad accendere il fuoco per cucinare fuori dalla stanza dove dormono, e con i soldi della cassa comune hanno acquistato tutti insieme un terreno dove costruiranno le stalle per i maiali.

Sembrano piccole cose ed invece sono dei grandi risultati, laddove non si dispone neanche di una pala, di una cazzuola e di altri attrezzi per la muratura; tanto meno ci sono i soldi per comprare calce e cemento.

Raggiungere l’ospedale di Tanà non è semplice per chi abita nei villaggi. Il villaggio di Antanifisaka dista 45 km dalla capitale.  E’ raggiungibile in autobus per soli 25 Km. Gli altri 20 bisogna percorrerli a piedi o in bicicletta tra le campagne. Il granello di senape ha aperto un ambulatorio ad Antanifisaka e tutti i venerdì Nirina e Rivu si avventurano a piedi tra le campagne perché non hanno la macchina. Piove tantissimo in questi giorni, è la stagione delle piogge, le strade sono impraticabili per il fango e per le buche profonde e l’autobus ha sospeso le corse.

45 km a piedi mi mettono pensiero, non sono uno scherzo sotto il sole africano o sotto la pioggia battente. Ma il medico e i medicinali dell’associazione sono l’unica opportunità per gli abitanti di questo villaggio e non possono mancare all’appuntamento settimanale. Però siamo fortunati. La troupe televisiva di giornalisti della Rai che è venuta a visitare la nostra associazione ci da’ uno strappo fino ad Antanafisaka, col fuoristrada, così insieme ad Andrea, Nirina e Rivu arriviamo puntuali all’ambulatorio.

La fila ad aspettare fuori è lunga e sgargiante dei colori dei vestiti delle donne malgasce. Tante mamme con in braccio i figli hanno aspettato le tre del pomeriggio. I papà per riverenza si tolgono il cappello, appena la dottoressa Nirina percorre il viale della campagna di Dine e Paul, ed entra nella stanzetta dell’ambulatorio. Un bambino piange disperato rompendo il silenzio di campagna, di timidezza e di paziente attesa. Mi avvicino per cercare di dare sollievo all’anziana donna che lo tiene attaccato al seno smagrito e cadente. Ma non parlo il malgascio. Accenno in francese: – que est ce qui il a? – ma la donna non conosce il francese e mi guarda con gli occhi neri duri, senza rispondere al mio sorriso. Il bambino si stacca dal seno, si riattacca nervosamente e si ristacca, poi cerca di nuovo tra i seni inesistenti dell’anziana donna qualcosa che non c’è. Il vecchio marito della donna parla con Dine e Dine senza dire una parola prende il bambino, lo mette sul lettino, lo sfascia. Si chiama Zafhì; è denutrito, pancia gonfia ed ossa ricoperte di poca pelle avvizzita. Ha otto mesi e pesa appena due chili. La donna che lo attacca al seno è la nonna e non riesce a consolarlo perché non ha il latte. La mamma è morta di epatite che lui aveva appena due mesi e da allora mangia solo farina di manioca stemperata nell’acqua non potabile. Sono dieci giorni che ha la dissenteria e la febbre alta, ormai rifiuta perfino di bere. Io riprendo con la telecamera, sono lì per questo, ma non me la sento di insistere, spengo tutto per rispetto.

Nirina visita il bambino. – non c’è nulla da fare – dice ai nonni parlando in malgascio e traducendo per noi, – bisogna portarlo al più presto in ospedale, qui non possiamo fare nulla, è troppo disidratato, piange senza lacrime e non batte più neanche le palpebre perché non ha più muscolo, rischia di morire –. Nirina dice alla nonna che ci vorranno almeno tre mesi di cure in ospedale per rimettere Zafhì in sesto. Ma lei non potrà assisterlo così a lungo, a casa ci sono altri cinque nipoti piccoli che sono soli. Lo riveste e porge Zafhì tra le mie braccia, che le sono vicina, poi va a casa a prendere qualcosa per il viaggio. L’ospedale della capitale è l’unico più vicino. Col fuoristrada impieghiamo più di tre ore tra strade dissestate e fango. Io mi trovo tra le braccia un fagotto leggero che ha un cattivo odore, fasciato malamente con stracci sporchi, che si dispera per tutto il tempo. Non sappiamo cosa fare per consolarlo, la sua voce è diventata roca, sono tentata di attaccarlo al mio seno pur di calmarlo un po’. Ho paura che morirà tra le mie braccia.  Penso a mio figlio che alla sua età era un piccolo ciccione pacioccone sorridente che tenerlo tra le braccia era un gioco di madre.

Tre ore di viaggio tra gli scossoni e la paura di capovolgerci e di impantanarci in mezzo al fango, ma l’abilità dell’autista ci porterà sani e salvi al reparto malnutrizione dell’ospedale di Tanà dove Zafhì viene affidato alle cure dei medici e all’assistenza dell’associazione. Dobbiamo portargli le lenzuola, il cuscino, le coperte, gli asciugamani, il sapone e i vestiti. Zafhì si salverà.

Ma molti altri bambini tra quelli che ho incontrato in questo reparto nella settimana sono morti e purtroppo altri continueranno a morire per malnutrizione. Nel mondo ogni giorno 40 mila bambini muoiono a causa della povertà: 1 bambino ogni 2 secondi!!!!

Ieri abbiamo raccolto una donna per strada, vicino la nostra casa. Era svenuta per terra, piena di piaghe. L’abbiamo portata a casa nostra. Si chiama Sakalàva, ha tre figli, è stata abbandonata dal marito e non ha nulla per vivere. Soffre di epilessia; durante una crisi è caduta sul fuoco procurandosi ustioni gravi sulle gambe e sulle braccia. Per curare l’epilessia ha bisogno di medicinali costosi tutti i giorni e tutti i giorni è costretta a mendicare dietro la porta di qualche associazione di carità per procurarseli. Non sempre ci riesce. C’è un amico medico italiano con noi. Stefano l’ha soccorsa, l’ha portata a casa, l’ha curata e Sadhana, una volontaria di Bra si è improvvisata assistente infermiera.

Sakalàva è stata fortunata ad incontrare il granello di senape. Ma quante persone avranno la stessa fortuna? Quanti soldi dovrebbero avere le associazioni di volontariato per risolvere il problema di ciascuno della fame, della salute, della casa, del lavoro, della scuola? Non si riesce a far fronte alla vastità di problemi solo con l’assistenzialismo e la carità. C’è bisogno che le persone stesse si ribellino, c’è bisogno che le associazioni avviino progetti educativi e di sviluppo insieme alla gente e che le politiche internazionali e i governi locali se ne facciano carico.

Per il granello di senape malgascio tutto inizia con le adozioni scolastiche e sanitarie di bambini fatte in Italia. Le famiglie dei bambini adottati si riuniscono in gruppi di 10 famiglie ed oltre a occuparsi della scuola, della mensa, della prevenzione sanitaria, danno vita a piccole iniziative di economia solidale attraverso cooperazioni lavorative: il recupero e la vendita dei sacchi, la pescicoltura, l’allevamento delle oche, l’artigianato del legno e della rafia, il cucito e il ricamo di tovaglie e l’intarsio di bellissime tende che ricamano donne ed uomini. Una quota del ricavato andrà nella cassa comune per pagare le opere e gli interventi che decidono di realizzare.

La biancheria è molto bella, ne sono affascinata. Ho acquistato una decina di tovaglie e quattro tende da regalare alle mie sorelle e a mia madre. Solo 15 euro l’una per tutti quei giorni di lavoro, quel lavoro lento e prezioso che è il ricamo, che da noi è quasi perduto, pochi lo sanno fare e chi lo fa si fa pagare almeno 1000 euro per questa stessa tenda. Abbiamo riempito cinque valigione e cinque casse di oggetti artigianali fatti dalle famiglie del gds per venderli nella bottega di Roma e nei banchetti in tutta Italia. Il ricavato verrà investito in nuovi progetti.

Il piccolo gruppo ha un suo responsabile che riunisce settimanalmente le famiglie. Qui si decidono gli interventi da realizzare. Ho conosciuto molto bene Paul, il capogruppo di Antanafisaka. E’ un bravo agricoltore. E’ anche un esperto massaggiatore, lo ha appreso dal padre che gli è stato tramandato a sua volta dal padre. Cucina anche bene. Ci dà consigli su come cucinare il pesce e insieme a Dine sua moglie sono due splendide persone che si prendono cura del loro villaggio. Hanno messo a disposizione i loro beni: la casa, la terra, i capannoni… Hanno permesso che si realizzasse la scuola, la mensa, la biblioteca, l’ambulatorio e hanno avviato un atelier di ricamo dove la sorella di Paul insegna a ricamare e a cucire. Ieri ha organizzato un incontro con le famiglie per discutere sulla costruzione di un allaccio all’acquedotto che porterà l’acqua, sebbene non potabile, in molte case. E’ presente anche il capoquartiere, un delegato del comune, e il volontario internazionale del GdS. La decisione è stata presa tutti insieme. Ognuno ha assunto la propria responsabilità. L’opera verrà realizzata con i soldi della cassa comune, con i soldi che il GdS ha raccolto attraverso iniziative solidali in Italia e con i soldi del comune di Tanà. Presto inizieranno i lavori.

Madagascar 3

Oggi siamo andati alla cava di pietre vicino casa. Il sole e il caldo non fanno respirare. Uomini donne e bambini a lavorare 11 ore al giorno sotto questo sole!! I più giovani a picconare, arrampicati senza protezione sulle rocce, armati solo di piccoli picconi; le donne in basso a piedi scalzi a spaccare le pietre con una piccola martellina e i bambini di un anno o due piangono vicini alle loro madri, senz’acqua, senza comfort. Una capò sorveglia i lavoratori sotto un ombrellone, seduta ad una sedia. Non apprezza molto le nostre riprese e le foto, e neanche quando ci avviciniamo ai bambini, gli asciughiamo il moccolo e gli diamo un po’ d’acqua e un biscotto. C’è un silenzio di tomba nella cava, solo il continuo rumore dello spaccare pietre, rumori che non vanno all’unisono e sembra la musica di un calvario di fatica e sudore per procurarsi 2500 ariari al giorno, circa 1 euro gli uomini, e solo 1000 ariari le donne, meno di 50 centesimi al giorno.

Il lavoro nelle risaie mi sembra meno faticoso. Almeno stanno al fresco!! Nirina ci ha portato a visitare la sua risaia. Siamo saliti sulla barchetta; un bambino di otto anni remando ci ha condotti al largo, ridendo del mio timore, perché la barchetta mi sembrava piuttosto precaria. Abbiamo visto uomini e donne immergersi nell’acqua fino al bacino, strappare i fasci verdi di riso, caricarli sulle barche e portarli a riva, farne delle grosse fascine legate e poi mettersele sulla testa e trasportarle nell’aia di sopra, per essere battute a mano per far uscire il riso. E’ un lavoro poco più redditizio degli spaccatori di pietre. Macché meno faticoso!!!! Intere giornate nell’acqua….

Madagascar 4

A mezzogiorno siamo andati alla scuola di Anduatanjona. I bambini erano in pausa e si preparavano a pranzare nelle tre mense del granello di senape dove i volontari malgasci hanno preparato il pranzo. Mama Bau gestisce la mensa di Anduatanjona insieme ai suoi 8 figli adottivi, raccolti dalla strada, che la aiutano a preparare il pranzo e a servire a tavola. Sarà l’unico pasto della giornata per gli scolari: riso, verdure, manioca, a volte un po’ di carne.

I ragazzi hanno imparato a scuola che lavandosi le mani allontanano molte malattie e lo insegnano a quelli più piccoli e anche alle loro famiglie, e allora… tutti in fila prima di mangiare a lavarsi le mani col sapone e uno di noi a buttare un po’ d’acqua col secchio e un’altra a passargli l’asciugamano. Se 400 bambini di Antanafisaka, dei quartieri di Ambodifasika, di Ilanivàto, possono andare a scuola, possono mangiare possono avere cure sanitarie, se i loro genitori possono partecipare a progetti di lavoro è perché sono stati adottati a distanza da famiglie italiane tramite il GdS. Con 120 euro l’anno, con questa piccola cifra si seminano piccoli granelli, metaforicamente di senape, che nel tempo faranno nascere tanti alberi sui quali sono appese le speranze di vita di tante famiglie malgasce.

 Madagascar 5

Il silenzio regna fuori dalle baracche di Tanà e nei villaggi in campagna. E’ una caratteristica che mi cattura e mi fa scendere nel profondo di me dove trovo calma, serenità e posso riflettere. Tutti sono silenziosi, anche i bambini giocano e passano il tempo tra di loro silenziosamente…

Il silenzio, la quiete… i versi degli animali… il pianto dei bambini… e qualche risatina timida di giovani ragazze….

La sensazione che comunicano questi sguardi silenziosi di gente seduta sul fango, pronti alla calda ma riservata cordialità e accoglienza, pronti a sorridere sempre… è un grande senso di accettazione. Nelle baracche, nelle strade e nelle campagne di Tanà, nelle cave di marmo, nelle risaie la povertà non è solo privazione, assenza di diritti. La povertà qui possiede ancora il valore della semplicità e della naturalezza; la naturalezza di una vita che scorre lenta, a contatto con la terra, con la natura. Una vita della quale si accetta il bene e il male, in cui non ci si può sottrarre dal rapporto tra gli uomini… una vita vissuta nella pienezza della sua sola essenza.

Qui la gente non ha l’opportunità di rifugiarsi nei falsi significati di possedere denaro e oggetti. Qui la gente non possiede nulla se non la propria umanità e la propria dignità. Guardando i piedi scalzi, le mani sporche, il raccoglimento della gente nella preghiera, ho assorbito la loro serenità e dignità e ho imparato da loro a modificare un po’ la mia vita.

Dice Latouche che gli africani non hanno mai pensato di essere poveri fino a quando qualcuno non è andato a dirglielo, non hanno mai pensato a loro stessi come a dei sottosviluppati fino a quando gli europei colonialisti non glielo hanno fatto credere. Gli africani sono considerati marginalizzati, degli esclusi, ma non è così, loro non si sentono così. E’ vero che sono fuori dai processi di globalizzazione dell’economia, ma sono una società, una vera società, un’altra società per noi inconcepibile. Sicuramente frugale, sicuramente priva di beni, ma ricca spiritualmente e socialmente, una società capace di produrre gioia di vivere, un bene che gli economisti non sanno né vedere, né conteggiare. Non ha assolutamente senso che ci sia gente che vada a spiegare agli africani come uscire dalla povertà, non ha senso che la Banca Mondiale o chi per essa cerchi di imporre modelli a loro estranei. La povertà in senso economico è un’idea solo occidentale.

 

Madagascar 6

Ho visto la discarica di Antananarivo, grande come un paese, una grande montagna di rifiuti, con un puzzo fetido che ti toglie il respiro fino al conato di vomito e con nugoli di mosche che così numerose da rendere lo sguardo tremolante…

Chi è costretto a vivere lì tra i rifiuti di Tanà, a cercare qualcosa da mangiare o da poter vendere, insieme ai cani randagi condannati allo stesso destino dell’uomo; chi è costretto a giocare tra i rifiuti della discarica di Tanà, conosce si la povertà, la privazione ingiusta, ma riesce ancora a sorridere e non è impazzita, possiede i valori della vita intatti!!! Questo vuol dire che ha una grande ricchezza, la ricchezza di un grande modello culturale e sociale interiorizzato che funziona molto più del nostro modello economico su cui l’occidente ha sintonizzato tutti i valori del cosiddetto benessere, per cui ha svenduto le sue tradizioni, ha eliminato le diversità culturali.

Madagascar 7

La cooperazione per il GdS non è solo portare aiuti umanitari: soldi, mezzi, medicine. Non è sostituirsi agli abitanti, né al governo locale, creando nuove dipendenze, nuove esclusioni, nuovi paternalismi…. ma aiutare i malgasci a  riappropriarsi delle proprie risorse, delle ricchezze della propria terra, a sentirsi forti della propria cultura, mettendo in atto i propri saperi; aiutarli a riacquistare la consapevolezza e la coscienza della propria identità di individuo, di comunità, di popolo, impressa nella loro storia.

 Dopo un mese qui in Madagascar con Stefano, Dino, Sadana, Elena, Andrea, Patrizia, Flavia, Antonella giocare a lungo coi bambini ci sembra così naturale… e anche noi siamo ritornati un po’ bambini, dimenticandoci del nostro modo di vivere occidentale. Ci lasciamo andare a mangiare i cibi comprati sulle bancarelle, che in Italia ci farebbero orrore per la mancanza di igiene; ci laviamo con l’acqua fredda quel che basta, nonostante le forti sudate, non di più; abbiamo abbandonato i profumi, i belletti, l’abbigliamento ricercato e le carte di credito. Non abbiamo bisogno di nient’altro, solo di semplicità. E ce ne stupiamo. Ci appaga la natura, il rapporto tra persone, il susseguirsi del giorno nel canto dei galli dopo la notte piena di stelle, l’impegno che ogni giorno insieme a Rivu, a Nirina, a mama Bau e agli altri volontari, rinnoviamo con entusiasmo. Ci basta vedere Giuliano che alla sua non più tenera età gioca coi bambini, li rincorre, li lancia per aria, ma molto in alto. Sono leggeri e volano che è una bellezza, sorridenti.

Si fidano!!